«L’arte
inverte il corso del tempo, la sua spinta dal presente verso il passato è
contraria alla spinta cosmologica. Essa toglie la maschera alla necessità che plasma
incontrastata la nostra vita, si oppone al trascinamento temporale, al flusso
delle cose e ai loro nessi; si oppone al tralignamento connaturato a ogni
manifestazione della realtà vivente, che appare come esistenza organica,
ordinata, corposa, mentre è astrazione, anchilosato cristallizzarsi di
categorie.
L’artista ha lacerato le ragnatele dell’astrazione,
strappato l’ordito dell’ottimismo, in cui la necessità dissimula la sua
violenza con il miraggio della finalità.
Come profondità o come passato l’arte recupera un universo
in cui la necessità si mostra nella sua fluidità e il giuoco nel suo trionfo,
un mondo in cui regna la manía, e la vita appare privata del dolore
dell’individuazione. Una sorta di “infanzia”, in cui gli attimi, componenti
elementari, che agglutinandosi fanno sorgere l’individuo, si liberano nella
loro incandescente veemenza.
Chi riesce a demolire la falsa corposità del mondo, a
liberarsi dallo spettro della necessità e va oltre, trova la violenza mescolata
al gioco (Dioniso).
L’arte non assomiglia a nulla di questo mondo: quasi tutte
le perfezioni e le squisitezze di questo mondo si gustano nell’arte, proprio
perché qui la vita appare depurata dalla violenza.
Il cammino ascendente dell’artista, dal presente al passato
di ricordo in ricordo, in direzione dell’immediato, ha poi un riflusso, in cui
l’artista comincia dire quello che ha veduto. Dopo aver vissuto nel passato,
ora vuole ritornare per raggiungere con la sua opera gli altri uomini».
(Giorgio Colli, Dopo Nietzsche, Adelphi 1974).